Dal 13 giugno CUBO ospita la personale di
Maurizio Bottarelli, dal titolo
Disperdere il limite e
presenta un corpus di dipinti donati dall'artista emiliano al Patrimonio artistico del Gruppo Unipol.
Le opere riassumono le tappe più rappresentative del percorso creativo di Bottarelli e danno la possibilità di evidenziare le relazioni di volta in volta stabilite dall'artista con le evoluzioni dell'arte cittadina, nazionale e internazionale. Relazioni che non vanno intese però nei termini di un allineamento, di un'adesione concessiva alle tendenze del momento, ma anzi, molto spesso in quelli di una lateralità problematica, di confronti improntati alla divergenza, se non proprio all'opposizione alle mode vigenti.
Tutta la produzione di Bottarelli scaturisce da una profonda riflessione sulla criticità della condizione umana, con implicazioni esistenziali avvertite come tramiti della coscienza di vivere, radice di una identità di difficile definizione. La
testa, il
nudo e il
paesaggio si costituiscono all'interno del suo percorso come i temi più indicati per sviluppare questa riflessione ma il fattore più originale sta nelle interconnessioni, nei rapporti di reciprocità che l'artista riesce a stabilire tra questi temi, tanto da renderli coerentemente intercambiabili. Temi mediante i quali lo stesso Bottarelli esplora le possibilità generative della materia.
Il percorso si sviluppa cronologicamente partendo da Porta Europa dove vengono esposte opere a soggetto
testa e
nudo che hanno la loro apoteosi con il
Senza titolo del 1972 che fu scherzosamente battezzato dal famoso critico d'arte Francesco Arcangeli il “Nerone", uno dei massimi esempi di questa fase di ricerca, forse l'opera da ritenersi più rappresentativa, se si considera che lo stesso critico avrebbe voluto esporla al Padiglione Italia della Biennale di Venezia dello stesso anno, dedicato all'alternanza
Opera o comportamento.
In Torre Unipol si passa ad analizzare la fase più matura della ricerca dell'artista ed è proprio dal motivo della
testa che Bottarelli estrae direttamente quello del
paesaggio, inteso non come rappresentazione di uno scenario naturale, quanto come esplorazione del soggetto umano. Qui si assiste a un ritorno al paesaggio inteso sempre come metafora esistenziale e alla riapertura di uno spazio romantico, nel quale si avverte uno sguardo a William Turner e al naturalismo di Gustave Courbet, volto a riaffermare la drammaticità della condizione soggettiva di fronte alle forze della natura. Appartengono a questo periodo opere come
Paesaggio islandese (1991),
Immagine da immagine chiave (1992) insieme a
Tasmania (2005).
Un rapporto con la materia tracciato dunque nel segno di un rovesciamento, dalla concentrazione alla dispersione, riaffermando in ogni esito l'attitudine inquieta del suo operare.
Tour virtuale della mostra